Serie A: Stangata sulla Juve per le plusvalenze, meno 15 punti in classifica

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Il processo bis per le plusvalenze si riapre e a pagare è solo la
Juventus. E con una stangata: – 15 punti in classifica e tutti i
dirigenti condannati. Dopo oltre quattro ore di Camera di consiglio la
Corte federale d’appello non solo ha accolto la richiesta di rimettere
sul banco degli imputati il club bianconero, ma ha anche aumentato le
pene che aveva chiesto il capo della procura Giuseppe Chinè (nove
punti).

È un vero e proprio tsunami sulla classifica (i
bianconeri di Allegri scendono al momento del terzo al decimo posto) e
sul futuro del club, ora atteso da un possibile secondo processo
sportivo, derivato dai nuovi atti dell’inchiesta Prisma, oltre alle
possibili sanzioni minacciate dall’Uefa per la violazione del financial
fair play. La nuova Juve del dopo Agnelli si trova intanto a scontare
sanzioni per i vecchi guai: ed è stato solo il primo dei giorni del
«giudizio», quello in cui la Corte federale d’appello appunto era
chiamata a valutare la riapertura del processo sportivo che vedeva
coinvolti oltre alla Juve altri otto club e che lo scorso maggio si era
concluso con il proscioglimento. Per Samp, Genoa, Parma, Empoli, il
vecchio Novara, Pisa, Pescara e Pro Vercelli nessuna condanna, come nel
primo procedimento.

Era già apparso pugno duro quello di Chinè, che aveva aperto
l’udienza con tutti i partecipanti da remoto: l’accusa sportiva aveva
infatti chiesto 9 punti di penalità per i bianconeri, e 16 mesi di
inibizione per Andrea Agnelli (da due giorni ex presidente del club), 20
e 10 giorni per Paratici, 10 mesi per Cherubini, 12 per tutti gli altri
consiglieri.

«La pena deve essere afflittiva, la Juventus in
classifica deve finire ora dietro la Roma, fuori dalla zona delle Coppe
Europee», aveva motivato la richiesta il procuratore durante la
requisitoria. «Ricorso inammissibile», le parole della difesa dei
bianconeri in assenza di «fatti nuovi» rispetto al processo già
celebrato mesi fa e che aveva assolto tutti. I legali bianconeri hanno
fatto leva sul principio giuridico per cui «nessuno può essere
perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso
Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato».

La
Procura della Figc, uscita sconfitta al primo round sulla vicenda
plusvalenze, aveva voluto riaprire il procedimento alla luce
dell’inchiesta penale Prisma della procura di Torino, quella infarcita
di intercettazioni, documenti, e il «libro nero di FP», con le
operazioni di mercato dell’ex ds Paratici appunto. «Nessuno degli
elementi valorizzati dalla procura Federale» nell’ambito delle
operazioni di mercato «dimostra l’esistenza di una artificiosa
sopra-valutazione dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori
alle predette operazioni, con ciò rendendosi piena infondatezza
dell’odierno ricorso», ha sostenuto la difesa della Juve. Che con la
Procura ha avuto più di un botta e risposta durante l’udienza sull’uso
delle plusvalenze: Chinè ha sottolineato che secondo la sua accusa
quelle contestate servivano a coprire le perdite, i difensori del club
bianconero hanno ribattuto che le plusvalenze in oggetto, per 60
milioni, rappresentano solo il 3,6% dei ricavi. In particolare, hanno
sottolineato, negli anni ai quali la procura fa riferimento la società
ha chiamato 700 milioni di aumenti di capitale, su tre anni ha avuto
ricavi di 1675 milioni e su un totale di 323 milioni di plusvalenze i 60
contestati da Chinè sono il 18% del totale e, appunto, il 3,6% dei
ricavi.

Per la Juve è una nuova Calciopoli: pagano anche i
dirigenti anche se sono ormai ex: 24 mesi ad Agnelli e 30 a Paratici, 16
mesi a ds Cherubini, 8 mesi anche a Paolo Garimberti: più di quanto
aveva chiesto Chinè. La Juve sprofonda in classifica e, tra processi
pensali (c’è anche la vicenda del falso in bilancio) rischia anche in
Europa.

Redazione

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Fonte della notizia: gds.it

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