Addio a Pelè, leggenda del calcio: tre volte campione del mondo col Brasile

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Il calcio piange la morte di Pelè. A darne notizia la figlia Kely Nascimento: “Tutto ciò che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace”.

Se avesse potuto sarebbe sceso in campo a insegnare calcio e a
trascinare il suo Brasile alla conquista in Qatar del sesto titolo
iridato. E invece niente: il Brasile tre settimane fa è mestamente
uscito ai quarti e lui, Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè, pur
continuando a lottare, si è dovuto arrendere a 82 anni a un avversario
davvero implacabile (il tumore al colon) che da un anno e mezzo non gli
dava tregua.
Finchè le forze lo hanno sorretto, l’uomo che ha inventato il calcio,
quando la tv era ancora in bianco e nero, ha fatto un tifo sfrenato per
la sua Nazionale da un letto dell’ospedale Einstein di San Paolo dove
era ricoverato da fine novembre, incitando a suon di tweet Neymar e
compagni. Ma non mancando alla fine di complimentarsi con gli storici
rivali argentini trascinati al successo da Messi. Del resto, Pelè i
Mondiali li conosceva bene: è stato l’unico giocatore a vincere ben tre
edizioni (1958, 1962 e 1970) che potevano essere anche quattro se non
fosse uscito anzitempo e ‘azzoppatò da quella del 1966 in Inghilterra,
vittima della violenza dei difensori avversari.

Centrocampista o
attaccante a seconda dell’occasione (con il calcio di oggi sarebbe un
trequartista con licenza di fare gol), il leggendario numero 10 della
Selecao ha vissuto l’intera carriera sportiva nel suo Paese indossando
la casacca del Santos (dal ’57 al ’74, giocando 580 partite e
realizzando 568 reti) e poi chiudendo in bellezza nei Cosmos di New York
(dal ’75 al ’77, con 56 presenze e 31 gol), trasformando il volto
sportivo degli Stati Uniti. In Nazionale Pelè ha raggiunto le 92
presenze e timbrato per 77 volte la porta avversaria tra il ’57 e il
’71.
La Fifa alla fine gli ha riconosciuto il record di reti realizzate in
carriera, ben 1.281 in 1.363 partite mentre in gare ufficiali O’Rey ha
messo a segno 757 gol in 816 incontri con una media realizzativa pari a
0,93 gol a match. Da calciatore Pelè è stato tutto quello che un atleta
può sognare di essere: completo, veloce, abile nel dribbling,
intelligente, con un senso del passaggio e del gol come pochi. Non era
altissimo (1.72 cm) ma nella storia, ad esempio, è entrato di diritto un
suo colpo di testa vincente, nella finale dei Mondiali ’70 di
Brasile-Italia 4-1, con uno stacco da terra imbarazzante ai danni del
marcatore Tarcisio Burgnich cui diede alcuni centimetri di scarto
rimanendo sospeso in aria per un paio di interminabili secondi. Un gesto
atletico che solo Pelè poteva fare, per quel senso della posizione che
gli consentiva di stare in quella porzione di campo con i tempi giusti
al momento giusto. E che dire di quel gol, segnato ad appena 17 anni
nella finale dei Mondiali di Svezia 1958, con tanto di ‘sombrerò in area
sulla testa di un difensore della squadra di casa e poi conclusione
micidiale?

Non serve elencare la sfilza di trofei e premi vinti a
livello nazionale e internazionale per raccontare chi era Pelè come
sportivo e come uomo: è sufficiente ricordare che ha fatto parte della
National Soccer Hall of Fame, che è stato inserito dal settimanale
statunitense Time nel «TIME 100 Heroes & Icons» del XX secolo, che è
stato dichiarato «Tesoro nazionale» dal presidente del Brasile Janio
Quadros e definito, nel luglio 2011, «Patrimonio storico-sportivo
dell’umanità».
Pelè, che una volta appesi gli scarpini al chiodo non ha mai intrapreso
la carriera di allenatore, è stato il primo personaggio sportivo intorno
a cui è stato realizzato un videogioco, il Pele«s Championship Soccer
per Atari 2600 nel 1980 e dall’anno successivo con il nome Pele«s
Soccer; a lui è stato anche intitolato lo stadio di Maceiò, l’Estàdio
Rei Pelè (in italiano Stadio Re Pelè), conosciuto anche come Trapichao e
costruito nel 1970.
Nel 1992 è stato nominato ambasciatore delle Nazioni Unite per
l’ecologia e l’ambiente e nel giugno 1994 Goodwill Ambassador
dall’Unesco. Nel 1995 il presidente brasiliano Cardoso lo ha nominato
ministro straordinario per lo Sport. In quel periodo Pelè ha proposto
una legge per ridurre la corruzione nel calcio brasiliano, nota con il
nome di «Legge Pelè». O’Rey ha ricoperto la carica fino alle dimissioni
dell’aprile del 1998. Ambasciatore per il calcio della Fifa e membro del
Football Committee, Pelè è stato scelto per effettuare i sorteggi delle
qualificazioni ai Mondiali 2002 in Giappone e Corea del Sud e come
ospite all’inaugurazione dei Mondiali 2006 in Germania insieme alla top
model Claudia Schiffer.
L’unico calciatore al mondo che poteva contendere a Pelè il titolo del
più grande numero 10 è stato Diego Armando Maradona, altro genio del
pallone. Nel 2000 la FIFA ha indetto un referendum per eleggere il
calciatore del secolo. Ha vinto a sorpresa l’ex capitano della Nazionale
argentina che ha battuto con il 53,6% dei voti Pelè, certamente più
gradito all’establishment calcistico.

Ma, al di là dell’esito
referendario sicuramente condizionato dal fatto che Maradona avesse
appeso gli scarpini al chiodo solo pochi anni prima lasciando un ricordo
ancora fresco delle sue imprese, si è sempre dibattuto su chi, fra le
due stelle del football, avesse davvero rappresentato il top del calcio,
pur appartenendo a epoche differenti.
Per Pelè, ambasciatore del Brasile e simbolo planetario del pallone,
parlano i numeri da record e i trofei messi in bacheca (come già detto, i
tre Mondiali vinti a mani basse nell’arco di 12 anni anche grazie a una
supersquadra). Inoltre, O’Rey, anche fuori dal campo, è stato un
esempio positivo per tutti, un modello da seguire, il volto ‘pulitò che
ha usato la sua popolarità per portare avanti campagne e valori
importanti, come la fame nel mondo e i problemi dell’infanzia. L’unico
suo limite, rimanendo in ambito sportivo, è legato a una carriera che si
è sviluppata esclusivamente in patria. Manca cioè la controprova di
quello che il 10 del Santos avrebbe potuto fare in Europa, dove da
sempre si giocano campionati più duri e dove le marcature sono più
asfissianti.
Diego Maradona, l’artista cui bastava un piede (rigorosamente il
sinistro) per fare della sfera di cuoio quello che voleva, in questo ha
superato Pelè. Ai tempi di Barcellona, Diego ci ha rimesso una gamba per
una entrata assassina del basco Andoni Goikoetxea. E poi, praticamente
da solo, ha preso per mano un’Argentina piuttosto modesta facendole
vincere il Mondiale del 1986 in Messico (e mancando di un soffio la
Coppa di Italia ’90) e ha riportato il Napoli ai vertici del calcio di
casa nostra (con due scudetti e una Coppa Uefa) nel giro di pochi anni.
Ma el Pibe de Oro, a differenza di Pelè, ha saputo sfidare a viso aperto
non solo gli avversari ma anche i poteri forti del calcio mondiale,
pagando tutto a carissimo prezzo. Maradona ha condotto una vita
scriteriata fuori dal campo ed è stato trascinato sulla cattiva strada
dalle amicizie cattive e interessate, da cui sono maturati a catena guai
giudiziari e problemi di salute, fino alla morte giunta nel novembre
2020 a 60 anni di età.
Pelè, nonostante una rivalità creata ad arte dalla stampa sportiva, lo
ha sempre considerato un amico. «Un giorno, spero che potremo giocare a
pallone insieme in cielo», disse O’Rey quando morì Diego. Adesso, con la
scomparsa di Pelè, la sfida tra i due big del calcio può diventare
realtà. E beato chi da lassù potrà godersi lo spettacolo.

Redazione

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Fonte della notizia: gds.it

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